Qualcuno si ricordi di Filippo Simeoni il ciclista che raccontò il doping e fu nemico di Lance Armstrong


LA RIVINCITA DI SIMEONI – IN GRUPPO ERA “L’INFAME” CHE AMMISE IL DOPING E DENUNCIÒ IL MEDICO DI LANCE ARMSTRONG. IL TEXANO LO MINACCIO’ IN UNA TAPPA DEL TOUR E GLI DIEDE DEL “BUGIARDO TOTALE” – IL PENTITO DEL CICLISMO CHE DENUNCIÒ L’EPO-PEA DI MASSA OGGI FA IL BARISTA E, DOPO LE AMMISSIONI DI LANCE, NON SI SENTE VINCITORE: “IN QUESTA STORIA CI SONO SOLO PERDENTI E, FORSE, IO HO PERSO PIÙ DI TUTTI…”

Malcom Pagani per il “Fatto quotidiano” (23 Gennaio 2013)

Tra la Cassa rurale dell’Agro Pontino e il parrucchiere Patrizia, alle spalle di Sezze e a un passo dal nulla, i 41 anni del barista per caso Filippo Simeoni riflettono un’anomalia. Il primo e unico pentito della storia del ciclismo che raccontò l’Epo di massa rischiando il rogo, l’uomo che denunciò il medico delle fialette Ferrari e litigò in pista con Armstrong, gestisce un anonimo luogo di ristoro.

A forza di attendere, il paradiso si è spostato altrove. Lontano dal naso triste di Simeoni, Cyrano di provincia che fece harakiri con la spada della verità: “Non sono contento e non mi sento vincitore. In questa storia ci sono solo perdenti. E io, forse, ho perso più di tutti”. Prende fiato. Inizia. Parlerà per due ore: “Papà, muratore a cottimo, si faceva un mazzo così. Terzo di 9 figli.

Tre sorelle spedite a sposarsi in Australia con la foto in mano, come nei film con Sordi. L’edilizia dell’hinterland milanese richiedeva braccia e lui a metà dei ’60 era corso da Sezze a Seregno. Abitavamo di fronte allo stadio e ogni giorno vedevo passare le maglie gialle e blu dei miei coetanei in bici.

Li imitò?
Li raggiunsi. A 9 anni avevo già la stanza tappezzata di manifesti di Hinault e un sogno. Diventare un campione.

Lasciò gli studi?
Avevo preso 55 in ragioneria, mi sarei laureato, poi l’offerta di una squadra di Jesi. Andai dai professori e loro: “Sei matto, ma che fai?”. Ero già distante. Era l’epoca di Moser, del record dell’ora, della scienza applicata alla sport, del professor Conconi o del dottor Ferrari incensati come rivoluzionari sui media. Ero un giovane dilettante, ma sapevo come andavano le cose. L’Epo era un compagno di viaggio e se non ti adeguavi, eri fuori. Bisognava trovare il medico adatto. Quello che trasformasse la chimica in vantaggio. Arrivai da Ferrari a fine ’96. Ero già professionista. Fu diretto: “Non ho tempo da perdere con atleti mediocri, se ci sono le condizioni proseguiamo, altrimenti lasciamo perdere”.

Le condizioni?
Il superamento dei suoi test cicloergometrici. Nel calcolare acido lattico e risposta del cuore alle sollecitazioni, in realtà Ferrari valutava la cilindrata del motore. “Dove vuoi arrivare?” disse. “A disputare un buon Giro” risposi. Allora fu esplicito: “Ce la puoi fare, ma solo con l’Epo”.

Le disse che l’Epo avrebbe potuto ucciderla?
Mai. Io fui uno stupido. Era professionale e convincente ai limiti del plagio. Lo chiamavo il mito. Lo rispettavo. Non ci sono studi scientifici certi al riguardo sui danni da Epo, ma il lasso di tempo è ancora troppo breve. Si deve aspettare.

Ha paura?
Ci penso e prego di non ammalarmi. Quando leggo della Sla nel calcio ho i brividi. Oggi il doping si è affinato, l’Epo è preistoria.

Addirittura?
Lo spartiacque fu la sospensione di Pantani. Da allora l’Epo tramontò e venne sostituita dall’autoemotrasfusione . Priva di rischi ai controlli, ma molto costosa. Richiede un apparato enorme. E gli atleti, rimesso in circolo nuovamente il sangue ripulito, ripartivano più forti di prima. All’addio di Pantani corrisponde l’arrivo sulle scene di Armstrong. L’uomo giusto al momento giusto. Con la storia giusta.

Il cancro?
Commosse anche me. Armstrong ha usato il ciclismo per risultati e vittorie non più di quanto non sia stato usato dal suo sport per rilanciare la propria immagine. Erano reciprocamente indispensabili. L’ho visto dalla Winfrey. Modesto e patetico, non si è pentito. Non ha ammesso nulla di sostanziale. Se vuole essere credibile deve fare e dire molto di più.

Gli sponsor sapevano?
Quelli grandi non potevano non sapere.

Lei ammise le sue colpe fin dal ’99.
Soprani, Il Pm di Ferrara indagò su Ferrari e sugli strani traffici con una farmacia di Bologna. I Nas gli sequestrarono le cartelle cliniche e ordinarono perquisizioni nelle case di atleti come Bortolami, Chiappucci, Cipollini. I carabinieri bussarono alle 6 del mattino. Mi avvertì mia madre, bianca come un cencio. Cercavano nei frigoriferi , sui tavoli. Trovarono le agende, capii che era finita.

Altri negarono.
Pensai di mentire, ma ero stanco di ingannare me e gli altri. Dovevo tornare a guardarmi in faccia. Pochi mesi e deposi sotto giuramento. Dissi la verità. Parlando dei ‘consigli’ di Ferrari e non facendo mai il nome di Armstrong, ma lui si risentì. Appena giunto in Italia e intercettato un microfono, mi diede del mentitore assoluto. Poi rincarò con Le Monde definendomi un bugiardo totale. A quel punto lo querelai venendo controquerelato.

Ferrari l’ha mai querelata?
No. I documenti che riportavano i trattamenti per nascondere l’Epo a base di Emalgel o di albumina al 5 per cento da assumere la sera precedente al controllo non mentivano.

Oggi il ciclismo è pulito?
Molto più di ieri. Il passaporto biologico, con prelievi periodici e controlli a sorpresa, funziona. Bisogna vigilare sul ciclismo amatoriale, terra di conquista dei nuovi stregoni.

Armstrong la minacciò in pista.
Al Tour del 2004. Scatto all’improvviso. Sorprendo tutti. Recupero il gruppo di testa, lo raggiungo. Mi giro e vedo Armstrong parlare con i 6 ciclisti in fuga. Garcia Costa della Banesto mi si affianca: “Vattene, Armstrong non ti vuole”. Forse sbagliando, mi fermo. Lance si avvicina: “Hai sbagliato tutto. A denunciare Ferrari e a querelarmi. Ho tempo, soldi e ti distruggo quando voglio”. Mi minacciò. Arrivano Nardello e Pozzato. Insulti: “Sei uno stronzo”, “gente come te non dovrebbe essere al Tour”, “fai schifo, sputi nel piatto in cui mangi”. Una vergogna che mi illuminò sulla stupidità di certi atleti. Armstrong non li considerava minimamente, erano i suoi schiavi. Io ero l’infame che aveva rotto il muro d’omertà, quello che ricevette il coro “scemo, scemo” a piena voce dal branco.

Anni difficili?
Devastanti. Ho pagato, sono stato bloccato e poi ho ripreso. Vincere il campionato italiano nel 2009 contro ragazzi di 10 anni più giovani è stato un segno del cielo. Un tocco del destino. Anche quella volta, bugie e menzogne. Titoli urlati: “Trovati 3 positivi, ci sarà Simeoni?”.

Lei non c’era.
No, però accadde qualcosa di incredibile. La mia squadra, la Ceramica Flaminia avrebbe avuto il diritto di partecipare al Giro. Io da campione nazionale, idem. Venimmo esclusi. Uno scandalo. Io restituii la maglia. Non ho le prove, ma sono sicuro c’entrasse Armstrong.

Lei avrebbe potuto fare la fine di Pantani.
È vero, sono stato forte. A Marco volevo bene. Il mondo di ipocriti che lo aveva elevato a dio lo ha ammazzato due volte.

Cosa significa marginalità?
Un emblema del ciclismo ebbe le palle. Mi disse: “Hai fatto la cazzata più grande della tua vita”.

Aveva ragione?
Se penso al lato materiale, sì. Ho fatto una grande cazzata. Se guardo l’aspetto morale, no. Però i soldi sono fondamentali. Vivo dignitosamente, ma se penso a ciò che ho perso ho l’amaro in bocca.

Ai suoi figli come lo spiegherà?
Non lo so. Ho fatto di tutto per tenere lontano dal ciclismo il primo, Simone, che ha 9 anni. Non ci sono riuscito. Non si può scappare dal proprio destino. Speriamo che questo casino un domani lo allontani dalla tentazione del doping. La sua voglia mi sta riaccendendo la passione.

Chi denuncia non ha statue in piazza.
Guardi dove è stato Zeman per 15 anni e osservi come è finita la parabola di Simone Farina. Ieri eroe, oggi reietto del pallone. È storia.

Della sua in questo locale c’è una sola foto.
Non amo guardare troppo al passato.
(Poi scivola dietro al bancone, dove il presente è un taglio netto con la gloria e Lance, soltanto il nome di un rasoio).